Recensione L’Amuleto di Samarcanda di Jonathan Stroud

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Dati e trama

Scritto da Jonathan Stroud e pubblicato per la prima volta nel 2003, “L’amuleto di Samarcanda” è un libro fantasy per ragazzi e fa parte della “Tetralogia di Bartimeus”. In Italia è arrivato con Salani nel 2004.

Il jinn Bartimeus viene convocato dall’Altro Mondo e si ritrova a Londra dove scopre che il suo nuovo padrone è in realtà un ragazzino di dodici anni! Il giovane mago lo incarica di rubare l’Amuleto di Samarcanda a Simon Lovelace, un mago piuttosto potente.

Fin qui tutto bene… finché Bartimeus scopre il nome del mago che lo ha evocato: Nathaniel. Adesso che sa il suo nome può ricattarlo quanto vuole e potrebbe sciogliersi dal suo incarico. Ma i problemi non finiscono qui, perché Simon Lovelace vuole a tutti i costi riprendersi il suo amuleto e sembra che gli serva per un oscuro piano.

Cosa ne penso

Eccomi di nuovo qui a rivangare il passato, decidendo di leggere un libro che lessi alle medie. “L’Amuleto di Samarcanda” mi colpì davvero tantissimo per il suo sistema magico quando avevo dodici-tredici anni, così tanto che presi appunti (no, non sto scherzando, ho letteralmente una mezza agenda piena di schizzi e scarabocchi).

Ho deciso di leggerlo di nuovo perché volevo vedere se ciò che avevo pensato tempo addietro si riconfermava… e direi che il risultato dell’esperimento non è stato esattamente uguale.

La storia è avvincente, basata sulla magia ma anche sulla politica, dove il bene e il male sono spesso difficili da individuare. Il nostro protagonista ad esempio è convinto che il regime in cui vive sia giusto, anche se i maghi detengono il potere e insabbiano varie vicende per mantenerlo, ritiene che sia giusto che i comuni vivano in condizioni marginali e relegati alla povertà e che si meritino ogni disprezzo. Mi è piaciuto come Stroud abbia creato una società dalla morale ambigua e che abbia mostrato anche come un ragazzino che ci vive venga convinto che le varie ideologie con cui cresce siano di fatto giuste.

Il sistema magico di questo volume mi piace molto. Non aspettatevi bacchette magiche e poteri soprannaturali da parte dei maghi, ma piuttosto evocazioni di demoni (jinn e folletti), formule derivate da giganteschi tomi scritti in copto e nomi. I nomi ne “L’amuleto di Samarcanda” sono potenti e se una persona oltre al suo proprietario li conosce, allora sono problemi seri, perché potrebbe usare il nome della vittima per piegarla al suo volere. Ho apprezzato molto il fatto che la potenza di un mago venga perlopiù dallo studio e come questa sia la chiave per avere un posto più alto nella società.

I demoni sono terribili e spaventosi, anche questi comunque sono suddivisi in categorie. Quelli più deboli sono facilmente evocabili da chiunque con un semplice pentacolo, quelli più forti sono difficili da evocare anche prendendo diverse precauzioni.

Il racconto in sé ha una dinamica abbastanza semplice, quella cioè del ragazzino che deve salvare il mondo da un uomo assetato di potere, ma alla trama è stata aggiunta una sottotrama che credo verrà ampliata nei volumi successivi, presentando un po’ meglio questa mistica Resistenza dei comuni che cerca di sovvertire il potere dei maghi.

Per quanto mi sia piaciuto questo libro, in alcuni punti le dinamiche mi sono sembrate un po’ raffazzonate o troppo semplici, soprattutto nei punti in cui Bartimeus minacciava Nathaniel ma poi non gli faceva nulla per un motivo tirato fuori dal suo padrone che però non era poi così tanto influente. In più il piano di Lovelace per salire al potere mi pareva un po’ molto pieno di falle già anche prima che lo attuasse.

Il worldbuilding è interessante quando si parla di magia, perché appunto presenta una società corrotta di maghi, un Altro Mondo pieno di demoni e vari artefatti magici dai poteri più disparati. Ho trovato però un po’ strano il modo in cui è stato ideato il mondo “normale”, perché sappiamo che è ambientato a Londra nel presente, ma la realtà che Stroud dipinge sembra quasi dei primi del Novecento, anche se presenta al suo interno anche tecnologie più moderne (come i televisori).

Stile di scrittura

Lo stile di scrittura è stato per me un punto debole e dolente, soprattutto nel POV. La storia è infatti raccontata da due punti di vista differenti, quello di Nathaniel e quello di Bartimeus. Fin qui tutto normale… finché non ho visto che i capitoli di Bartimeus erano in prima persona (anche se ogni tanto diventavano per una o due righe in terza) e quelli di Nathaniel erano in terza persona.

Sinceramente questo alternarsi di stile nei capitoli mi ha dato un po’ di problematiche a livello di lettura, in più mi ha reso più “appetibili” i capitoli di Bartimeus perché lo sentivo più vivo e era molto più divertente da leggere rispetto a quando seguivo Nathaniel nella sua parte di racconto.

Altra cosa che mi ha destabilizzato è stata l’enormità di note a pié di pagina, presenti soprattutto nei capitoli di Bartimeus e scritte poi dal jinn stesso. Se la presenza di queste note era limitata e utile, avrei detto che era semplicemente una scelta interessante seppur rischiosa, ma quando hanno cominciato a sfiorare la cinquantina, sono diventate davvero troppe e ho iniziato a saltarle perché spesso contenevano aneddoti che seppur divertenti, non c’entravano nulla con il racconto presente e mi disturbavano soltanto la lettura.

Cosa che ho inoltre notato è che la traduzione italiana ha dei termini un po’ datati, non so se è perché è un libro del 2004 o perché è una scelta stilistica del traduttore, ma non credo che un dodicenne leggerebbe un libro simile senza dover correre al dizionario almeno una volta per capitolo.

Personaggi

I personaggi principali sono il punto forte del libro, soprattutto perché hanno pregi e difetti ben visibili.

Nathaniel, il nostro giovane mago, è un genio che però viene sempre sottovalutato, un ragazzo con un orgoglio fin troppo prepotente e con un’impazienza che lo porta spesso a cacciarsi in dei guai, come quello di evocare un jinn di nome Bartimeus. Nathaniel è accecato dalla società in cui vive ma ha anche un buon cuore, quindi vedremo poi nei volumi successivi come queste sue due morali andranno a cozzare, perché sono sicuro che lo faranno di certo.

Mi è piaciuto come personaggio anche se finisce nei guai un sacco di volte, però presenta un ragazzino dodicenne abbastanza credibile e il suo orgoglio e la sua impazienza seppur vengano lodate in alcuni punti, vengono anche appuntate come negative in altre, presentando quindi un punto di riflessione per qualsiasi ragazzino legga il libro e si ritrovi in Nathaniel.

Bartimeus è un jinn irriverente con l’ego che sfiora le cime più alte dei monti. Modestia? Mai sentita! I capitoli di Bartimeus sono sempre divertenti da leggere ed è impossibile che non strappi qualche risata al lettore, sia con le sue battutine che con i suoi modi di fare.

Credo sia un personaggio adatto da affiancare al ligio e orgoglioso Nathaniel, infatti la loro dinamica padrone/servo mi è piaciuta molto, anche perché in fondo si vede che almeno un po’ sono diventati amici.

Conclusioni generali

“L’amuleto di Samarcanda” mi è piaciuto e si conferma come un buon punto di partenza per una saga… ma alla seconda lettura mi è piaciuto meno soprattutto a causa del modo in cui sono stati gestiti i POV e le note. Non per questo mi fermerò al primo volume perché dopo aver letto l’ultimo capitolo e chiuso il libro, ho sentito subito la mancanza di quell’irriverente jinn e del suo padroncino orgoglioso ma con un gran cuore. Ci vediamo al secondo volume!

Voto finale: 3/5 ★★★✰✰

Innovatività: 4/5 ★★★★✰

Livello di violenza: 3/5 ★★★✰✰

Facilità di lettura: 4/5 ★★★★✰

Scorrevolezza: 3/5 ★★★✰✰

Consigliato da: 13 anni in su

Una mia illustrazione ispirata a “L’amuleto di Samarcanda” di Jonathan Stroud

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